Fly me to the Moon.

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  1. Leah.
     
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    Dopo aver salutato Jack e Ianto, ci avviammo mano nella mano verso il Tardis. Si, dico salutato, non era un addio, non lo sarebbe mai più stato. Non volevo più addii, volevo degli arrivederci. Sapevo che ci saremmo incontrati ancora, non li avrei mai abbandonati, soprattutto non dopo quello che avevano fatto per me. In men che non si dica mi trovai davanti la cabina blu. L'avrei riconosciuta tra un milione: nonostante fosse praticamente identica a tutte le altre, potevi sentire i sussurri di tutto ciò che aveva passato. Ovviamente non chiesi il permesso per entrare, davo per scontato che quella fosse di nuovo casa mia, aprii la porta, sorridendo al Dottore ed entrai. Colsi l'occasione per dare un'occhiata più approfondita, dato che prima ero troppo presa a pensare a ciò che sarebbe accaduto. Non aveva ridecorato, era tutto come prima. Lentamente cominciai a fare il giro, controllando tutti i comandi, le leve, i monitor, lasciandomi scappare piccoli ghigni ogni volta che uno di questi mi ricordava qualcosa. Provai un senso di pace e, finalmente, sentii di appartenere davvero a qualcosa. La vita rinchiusa in una casa, nella stessa città, sullo stesso pianeta, no, non era per me. Grazie al Dottore avevo scoperto altri orizzonti a cui non sarei mai riuscita a rinunciare, non più.
    Non più ai vicini di casa ficcanaso, non più la solita monotonia, non più una vita costretta a stare con qualcuno che non ricambiavo. Per me si ricominciava: il Dottore, Rose Tyler e il Tardis, attraverso spazio e tempo, finchè il mio debole cuore non avrebbe ceduto. No, dovevo smetterla di pensarla così: sarei stata triste dopo, ora dovevo godermi il momento.
    Mi fermai, appoggiandomi a una ringhiera, non dicendo una parola. Non necessitavo di parole, stavo bene. Finalmente bene. Mi limitai ad incrociare lo sguardo del Dottore, inclinando leggermente il capo, lasciando a lui le prime parole.
     
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  2. miry«
     
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    Mi dispiacque più di quanto pensassi salutare sia Jack che Ianto, davvero, ma per la prima volta in vita mia sapevo con certezza che non sarebbe stato un addio. Nessun intoppo temporale, nessun alieno, niente di niente mi avrebbe impedito di tornare a trovarli a Cardiff. Lo dovevo ad entrambi, e perfino a Rose. E anche a me stesso. Per la prima volta in vita mia, sentivo di avere come una famiglia da cui tornare, ed era una bellissima sensazione, una sensazione che mi mancava. In quel momento, però, era ora che io mi dedicassi alla parte più importante della mia famiglia: la ragazza che, la mano stretta alla mia, stava tornando con me a casa, nel Tardis.
    Restammo entrambi in silenzio durante il tragitto forse per l'incredulità che tutto questo stava accadendo davvero, forse per l'imbarazzo o forse semplicemente perchè non avevamo bisogno di parole. Arrivati davanti alla mia cabina blu, lei mi lasciò la mano ed entrò senza chiedere il permesso, e io non dissi niente. Non aveva bisogno del permesso per rientrare in casa. La seguii, camminando lentamente e seguendola con gli occhi mentre si guardava bene attorno, quasi cercando di riconoscere ogni particolare. Non le staccai gli occhi di dosso e, nel farlo, un sorriso spuntò sincero sul mio viso. Solo in quel preciso momento, realizzai che quello era tutto vero, che lei era veramente nel Tardis con me e che non se ne sarebbe mai più andata. Mai più.
    Mi fermai alla fine del corridoio d'entrata, lanciai il cappotto al solito posto e poi misi le mani in tasca, aspettando dicesse qualcosa. Ma lei si limitò a guardami, e il mio sorriso si allargò prima che me ne rendessi conto.
    Quindi toccava a me parlare, fantastico. Mi avvicinai piano a lei, non sapendo che dire. Mi passai una mano tra i capelli.
    «Rose...» iniziai, non sapendo davvero che dire. Mi schiarii la voce. «è così bello riaverti qui, con me.»
    Ero sincero e avrei voluto aggiungere altro, ma il fatto di essere soli non aiutava per nulla. Non ero mai stato bravo con le parole se si trattava di sentimenti. Così feci un altro passo, raggiungendola, e semplicemente la strinsi a me, forte, affinché con quell'abbraccio capisse veramente cose volessi dirle se solo avessi trovato le parole adatte. Sapevo che non le sarebbe bastato, che avrebbe voluto di più, avrebbe voluto mi aprissi e fossi meno imbranato, ma ancora non ci riuscivo. E giurai a me stesso, per lei, che mi sarei sforzato a farlo.
     
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  3. Leah.
     
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    Rimanemmo in silenzio per pochi secondi, l'attesa fu minima, lo vidi avvicinarsi lentamente, visibilmente in imbarazzo, ma felice. Glielo leggevo negli occhi. Mi lasciai avvolgere, posandogli le braccia sulle spalla e intrecciando le mani dietro al suo collo. Avevo la testa sul suo petto, riuscivo a sentire il battito dei suoi cuori. Faceva strano, ci eravamo già abbracciati molte volte, ma quella era diversa da tutte le altre. C'era molto di più in quel gesto: parole non dette, emozioni nascoste, ricordi. Quell'abbraccio eravamo noi, in tutte le nostre incertezze, paure e debolezze che eravamo disposti a mettere a nudo per andare avanti. Noi, due viaggiatori erranti in una cabina blu, decisi a dare tutto per l'altro.
    «Vale anche per me» dissi piano, continuando a stringerlo. Avrei voluto chiedergli molte cose, quali avventure aveva vissuto, dov'era andato, con chi, ma decisi di non farlo. Tutto aveva un tempo e un luogo e, in quel momento, non era necessario. Mi scostai leggermente, per passargli una mano tra i capelli, nella speranza di risistemarli o, forse, solo per il gusto di farlo. «Io, te e il Tardis» sussurrai, incrociando il suo sguardo. Eravamo così maledettamente vicini. Le punte dei nostri nasi quasi si sfioravano e le sue labbra erano lì. Potevo farlo, non c'erano eccezioni, non c'era nessuno intorno. Eravamo soli. Mi morsi leggermente il labbro inferiore e, avendo preso coraggio, cominciai ad avvicinarmi.. Se non fosse stato per quella piccola, insignificante lucina rossa che indicava che le trappole si sarebbero riaperte. «Ehm» dissi, con lo sguardo fisso sulle ultime «Credo che non sia rimasto molto tempo» continuai, indicandole con un dito.
    Stupida, stupida, stupida Rose Tyler.
     
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  4. miry«
     
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    Quell'abbraccio era uno dei più belli che fossimo mai dati. Era così complicato e semplice allo stesso momento, così intenso e bello, così implicito ed esplicito. Rispecchiava esattamente noi, quello che eravamo. Era uno di quegli abbracci che non avrei sciolto per nulla al mondo, quei contatti che mi facevano stare veramente bene e soprattutto mi facevano sentire completo. Avevo finalmente ritrovato quell'ultimo - ma primo per importanza - tassello di quel puzzle che era la mia vita, e ora non me l'avrei mai più perso, per nessuna ragione al mondo. Nessuna. Sorrisi alle sue parole e poi la sentii scostarsi di poco per passarmi la mano nei capelli. Socchiusi appena gli occhi, sorridendo dolce, quando lo fece. Amavo quel piccolo contatto, l'avevo sempre amato. Riaprii poi gli occhi alla ricerca del suo sguardo e mi accorsi di quanto fossimo davvero vicini, così vicini che potevo sentire il suo respiro sul mio viso. Deglutii senza nemmeno volerlo davvero, pietrificato e indeciso sul da farsi. Fu lei a prendere una decisione per entrambi: la vidi mordersi il labbro e avvicinarsi piano. Il mio respiro si bloccò letteralmente, i miei cuori smisero quasi di battere ma, questa volta, non avrei rovinato niente. L'avrei fatto, l'avrei baciata. Lo volevo, davvero, e avrei voluto anche avvicinarmi a mia volta, ma preferii aspettare che fosse lei ad annullare la distanza totalmente. Mi godetti quel momento, pronto a baciarla come meritava e come aveva sempre desiderato facessi. Non arrossii ne altro: questa volta ero deciso. Niente rimpianti. Ed ecco che fu lei a staccarsi, ricordandomi delle trappole. Nonostante non se lo meritasse per niente visto quante volte a me capitava lo stesso, non riuscii a non trattenere uno sguardo dispiaciuto e contrariato. Ripresi a respirare e riuscii perfino a sorridere perchè, nonostante tutto, lei sapeva essere dolcissima anche in quei momenti. Mi voltai per guardare cosa stesse indicando col dito anche se, dalle sue parole, l'avevo già intuito.
    «Giusto, hai ragione!» affermai, staccandomi da lei e correndo alla console, tornando in un attimo il solito, iperattivo Dottore. Guardai lo schermo e impostai le coordinate di un piccolo pianeta, uno isolato e soprattutto molto lontano dalla Terra. Uno dove i Weevil avrebbero potuto vivere in pace la loro vita, senza interferire più con quella dei poveri cittadini di Cardiff. Corsi intorno alla console, attivando velocemente e ormai automaticamente i comandi di partenza.
    «Portiamo questi alieni dove non possano più nuocere a nessuno e possano vivere in pace.» ripetei ad alta voce, rendendo Rose partecipe dei miei pensieri. Corsi poi dall'altra parte del pannello, verso la leva di partenza.
    «E poi direi che, finalmente, puoi concederti una meritatissima doccia!» risi appena, pensando che per me era bellissima anche così.
    *L'hai pensato davvero??* mi chiesi, abbassando lo sguardo sul pannello per essere sicuro non mi si vedesse in viso. Era davvero bella lo stesso, ma mi ero spiazzato da solo a pensare una cosa del genere. Quando fui sicuro di essermi ripreso la guardai, per controllare si fosse attaccata bene. Assicuratomi di ciò, mi aggrappai al pannello e tirai la leva, urlando il mio solito «Allons-y!» mentre le rivolgevo uno dei miei migliori sorrisi.
     
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  5. Leah.
     
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    Avevo rovinato tutto. Letteralmente. Una, e dico, una volta che ero riuscita a prendere il coraggio per baciarlo.. Bam! Ecco che mi tiravo indietro. No, non mi ero proprio tirata indietro; insomma, se non avessi notato le trappole, ci saremmo baciati con una mandria di Weevil intorno. No, non sarebbe stato così romantico. Notai lo sguardo del Dottore e mi sentii davvero uno straccio, ma non volevo darlo a vedere, non se lo meritava, mi sarei rifatta in un'altra occasione. Si, certo.. Certo. Stupida, stupida, stupida Rose Tyler. Abbassai lo sguardo, rossa in volto, aggrappandomi forte a una ringhiera; conoscevo bene gli atterraggi del Tardis.
    Fondamentalmente, però, il mio pensiero era bloccato su *Come farò a guardarlo di nuovo in faccia?*. Davvero, avrei voluto sprofondare. Mi sentii colpevole, impacciata, imbranata e.. una frana, in pratica. Certo, avevamo tempo, tutto il tempo del mondo, ma per certe cose, nel cuore di una donna, non c'è mai abbastanza tempo. Era quello che avevo sempre desiderato ed ero riuscita a rendere il momento giusto il più sbagliato. Le parole del Dottore mi riportarono alla realtà: pianeta, alieni, doccia. Avrei piagnucolato e mi sarei data dell'imbecille in un secondo momento. Ora dovevo trovare il coraggio di rialzare lo sguardo e collaborare. Magari evitando il contatto visivo ancora per un po', per evitare di arrossire ulteriormente. Una volta un'amica mi disse che da dopo l'interruzione di un bacio si avevano 48 ore di tempo per rimediare. Ebbene, non sapevo se crederci o no, sapevo solo che la situazione era decisamente strana.
    «Si, certo» risposi, ridacchiando «Direi che ne ho proprio bisogno» guardai velocemente i miei vestiti «E direi che questi sono da buttare» continuai, constatando che la giacca era tutta bucherellata e tagliata irreparabilmente.
     
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  6. miry«
     
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    Nell'esatto momento in cui il Tardis partì, insieme alla cabina si smaterializzarono anche gli alieni nelle trappole. Rinchiusi in una specie di bolla, viaggiavano con noi attraverso il vortice del tempo. Cercavo in tutti i modi di distrarmi, ma non riuscivo a non pensare a ciò che era appena accaduto e sentirmi in totale imbarazzo. E ora? Cosa avrei dovuto fare? L'avrebbe fatto nuovamente lei il primo passo o ora stava a me rimediare al posto suo, dimostrandole così che ci tenevo? In fondo io il primo passo l'avevo fatto già...
    Erano troppe ipotesi, e io non sapevo quale fosse quella giusta. Diamine, guidare il Tardis e le mille leggi dell'intero spazio-tempo diventavano tutte così banali se paragonate all'amore. Decisi di concentrarmi sul guidare il Tardis e far sì che la bolla non si staccasse da noi. Corsi a stabilizzare la cabina - per quanto possibile - deciso ad evitare forti scossoni, ma come sempre ciò fu inevitabile, tanto che dovetti tenermi per non finire letteralmente con le gambe all'aria. Per fortuna, dopo qualche minuto, ci smaterializzammo e io non persi tempo ad attivare i comandi di atterraggio e liberare gli alieni dalla bolla.
    «Weevil, benvenuti a casa vostra!» dissi, come se stessi veramente parlando con loro e loro potessero sentirmi. Sorrisi sereno, fissando gli alieni spaesati dal monitor. Li vidi poi avvicinarsi tra loro e pensai al peggio, ma quando si allontanarono e iniziarono ad ispezionare divisi in piccoli branchi beh, capii che avevo ragione: non erano stupidi, anzi.
    «E anche questa è fatta!» mi voltai verso di lei, sorridente, dimenticandomi per un attimo dell'imbarazzo tra noi. Non appena incrociai i suoi occhi, però, tutto tornò a galla, e allora capii che era inutile farsi tanti problemi: avevamo un sacco di tempo davanti a noi, e ci sarebbe stato anche il momento giusto per quello. Punto. Resi il Tardis invisibile ai Weevil e poi feci un passo verso di lei, tranquillo.
    «Direi che possiamo concederci una sosta per una doccia!» affermai, guardandomi. Si, direi che ne avevo proprio bisogno. Allungai una mano ad afferrare la parte finale della giacca di Rose, muovendola piano per osservarla.
    «E' un peccato si sia rovinata, mi piaceva come ti stava indosso.» Continuai a fissare la giacca mentre parlavo, quasi pensieroso, per poi spettinarmi appena i capelli con una mano e tornare a guardarla.
    «Ti ricordi la strada o...» lasciai la frase in sospeso, sicuro lei si ricordasse chiaramente la strada. La mia domanda, infatti, era semplice cortesia più che un'offerta di aiuto. Ma, nonostante la mia decisione di qualche secondo prima, dentro di me speravo davvero lei riprendesse da dove aveva interrotto prima di andare a lavarsi.
     
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  7. Leah.
     
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    Controllo. Dovevo mantenere il controllo. Ci eravamo già baciati ed era chiaro ciò che provassimo l'uno per l'altra, ma c'era ancora qualcosa che mi bloccava. Ero comunque ferita, ma forse c'era qualcosa di più: la paura di riperderlo e soffrire ancora, il fatto di invecchiare (e sapevo che odiava quando le cose finivano o cominciavano ad appassire) e, forse, senso di colpa. Non me lo sapevo ancora spiegare, sentivo di essere nel posto giusto con la persona giusta, ma sapevo anche che avevo abbandonato qualcuno.
    Lo scossone che segnalava l'atterraggio del Tardis mi riportò alla realtà. Scossi il capo e respirai profondamente, staccandomi dalla ringhiera e facendo un passo avanti verso i comandi. Lo osservai armeggiare con pulsanti e leve, liberando le trappole, incrociando il suo sguardo entusiasta mentre mi comunicava che era tutto finito. Sorrisi spontaneamente, decidendo di dimenticare il momento di imbarazzo appena accaduto; avrei ripreso coraggio, ne ero sicura.
    Lo vidi avvicinarsi, facendo commenti sulla mia giacca; era passato molto tempo, ma la complicità che avevamo non si era esaurita. Ridacchiai.
    «Farò in modo di apparire meravigliosa anche con qualcos'altro» risposi, felice che si fosse "spinto" a farmi un complimento così esplicito. Lo vidi ripassarsi una mano tra i capelli (e la tentazione di fare lo stesso fu molta), accennando alla mia stanza. Certo, mi ricordavo perfettamente dove fosse, ma la paura di tornarci e crollare era forte.Gli presi una mano, avvicinandomi pericolosamente a lui.
    «E tu ricordi dove sia?» chiesi ironicamente, passandomi il suo braccio sulle spalle e cominciando ad avviarci. Brutto vizio quello di trascinare le persone, già.
    «Non oso pensare al disordine la dentro» continuai, nascondendo l'ansia «Ci vorranno anni prima di riuscire a sistemare tutto».


    Edited by miry« - 26/1/2014, 12:11
     
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  8. miry«
     
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    Ogni volta che ero con lei, qualsiasi fosse la situazione, non riuscivo a togliermi quel sorrisetto felice. Mi restava come stampato in volto e non accennava ad andarsene.
    «Non ne dubito!» mi scappò alla sua risposta al mio complimento. Ok, tutto questo lasciarmi andare mi stava spiazzando. Non ne ero abituato e, per quanto sapessi che l'avrebbe resa felice, avrei preferito non sorprendere perfino me stesso. Pensarci un attimo almeno, per non sembrare un completo idiota subito dopo aver detto qualcosa di carino. Il mio livello di autostima scendeva in questo caso, perchè volente o nolente sapevo di sembrare in tutti i casi un completo imbranatissimo idiota. Mi trattenni dal grattarmi appena la testa come facevo sempre nei momenti di disagio, e mi tornai a porre tutta la mia attenzione su di lei. Ed ecco che lei mi prese la mano e si avvicinò in modo più che pericoloso a me. Deglutii, senza riuscire a trattenermi, diventando letteralmente una statua e la fissai negli occhi, cercando di capire le sue intenzioni. Voleva baciarmi di nuovo? Voleva solo abbracciarmi?O semplicemente guardarmi?Cosa avrei dovuto fare? Sentii il sangue affluire leggermente sulle mie guance e riuscii a "sciogliermi" solo quando lei aprì bocca per parlare. Mi sentii quasi sollevato per essere scampato all'imbarazzante momento e sorrisi furbo alla sua domanda.
    «Oh, ovviamente si!» risposi, lasciandola fare e stringendola piano verso di me mentre camminavamo. Non riuscii poi a non ridacchiare appena quando fece quel commento con un visibilissimo tono quasi disperato, fissando davanti a me e dirigendomi con le verso la stanza.
    «Ne abbiamo di tempo..» Le lanciai una piccola occhiata con la coda dell'occhio nel dirlo, continuando a camminare. «E poi non credo sarà messa così male!». Per quello che ricordavo non doveva essere in disordine come pensava lei. Più ci avvicinavamo, più automaticamente la stringevo contro di me. Non sapevo che reazione avesse avuto Rose nel rivederla, e sinceramente nemmeno io, ma sapevo che qualsiasi reazione avesse avuto io ci sarei stato. Svoltammo a destra nell'ultimo corridoio ed eccola lì, la porta di camera sua, esattamente dove era sempre stata. Mi staccai da lei e poggiai la mano sulla maniglia, aprendo piano la porta e facendomi appena da parte per farla passare.
     
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  9. Leah.
     
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    Al mondo ci sono due tipi di persone: quelle che quando provano emozioni forti piangono, quelle che ridono e poi ci sono io, che faccio tutte e due le cose contemporaneamente. Più mi avvicinavo a quella porta, più cominciavo a sudare freddo e a sentire le mani tremare. Faceva così strano, nonostante per me dovesse essere la cosa più naturale del mondo, entrare in camera mia. Fortunatamente fu lui ad avvicinarsi e ad aprire la porta per me, io probabilmente non ce l'avrei fatta. Misi le mani nelle tasche, sperando di nascondere il tremore, entrando, senza pensarci troppo. Rividi il mio letto, alcune mie magliette buttate qua e là; mi ricordavo che fosse tutto più in disordine. Un mascara sul comodino, probabilmente da buttare. I miei vestiti stropicciati che si intravedevano dall'armadio semi aperto. Stavo reagendo bene, stavo andando bene, almeno fino a quando non incrociai una foto di me e mia madre sulla parete. Non me ne ero dimenticata, dentro di me speravo si fosse staccata durante un atterraggio del Tardis, ma no, invece era ancora lì. Mi sedetti sul letto, con gli occhi gonfi, trovandomi a improvvisare.
    «Avevi ragione» dissi, schiarendomi la voce ogni qualvolta la sentivo spezzarsi «Non ci vorrà molto per rimetterla a posto, dovrò giusto sistemare.. Cose, piegare.. Vestiti.. E.. Forse spolverare un po'.. Si, ecco» un lacrimone mi solcò il viso, mentre sorridevo e ridacchiavo, impotente. Impotente di contrastare tutte le emozioni della giornata che, alla fine, tornavano tutte insieme, come un uragano.
    Avevo ritrovato l'uomo a cui appartenevo, ma avevo perso tutto: un posto nel mondo, la mia famiglia, la mia identità. Non ero triste, mi sentivo solo vuota.
     
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  10. miry«
     
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    Entrai subito dopo di lei, stando a qualche passo di distanza per lasciarle un po' di privacy e spazio. Fosse stato per me sarei rimasto in Sala Comandi, ma forse avrei sbagliato, visto come mi aveva trascinato lì con lei. Non dissi niente e mi guardai in giro, portandomi le mani nelle tasche dei pantaloni. Era tutto perfettamente come ricordavo, come l'aveva lasciato. Tutto come avevo visto l'ultima volta che ci avevo messo piede, subito dopo aver incontrato Donna e prima di iniziare a viaggiare con Martha. Si, era da così tanto tempo che non entravo in quella stanza, così tanto che nemmeno io sapevo definirlo. Più che guardare la stanza in realtà i miei occhi restarono poggiati su di lei a controllare ogni sua minima reazione. Non volevo perdermi nulla di quel momento e, soprattutto, volevo essere pronto se avesse avuto un crollo emotivo. La notai poggiare gli occhi sulla foto di lei e sua madre. Accennai un sorriso quando si sedette sul letto e cercò di sembrare forte. Forse per non farmi preoccupare, forse per vergogna. Non mi interessava il motivo. La raggiunsi e mi sedetti sul letto accanto a lei, stringendola forte, senza dire niente per qualche minuto.
    «Non fingere di essere forte, Rose. Non ce n'è bisogno.» provai a consolarla, continuando a stare abbracciato a lei. «E' normale che ti manchi. E tenerti tutto dentro non farà che peggiorare le cose.»
    "Parlo per esperienza" aggiunsi mentalmente, con un sorriso amaro. Tornai a concentrarmi su di lei, cullandola quasi, sperando si sfogasse e si riprendesse almeno un po'.
     
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  11. Leah.
     
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    Il calore delle braccia del Dottore furono il colpo di grazia: mi strinsi a lui, non riuscendo più a trattenere i singhiozzi, dando inizio al più liberativo dei pianti. Era stata una giornata devastante per le mie emozioni, ero passata dalla malinconia alla felicità, dall'ira all'amore, avevo ritrovato e perso qualcosa di importante. Era stato l'inizio e la fine di Rose Tyler. Accettai il consiglio del Dottore, fingere di essere forte non avrebbe reso le cose più facili, ma ci volle tempo prima di riuscire a formulare una frase.
    «Non credere che non sia felice di essere qui» singhiozzai, cercando di regolare, inutilmente, il respiro «Questa è la cosa più bella che mi sia capitata e non tornerei indietro per riprendere un'altra decisione. Mai. E' quello che ho sempre voluto, sei quello che ho sempre desiderato» continuai, decidendo di non filtrare i miei pensieri e di buttare fuori tutto quello che dovevo dire. Non era il momento di negare o nascondere la verità: «Io ti ho amato, ti amo tutt'ora e continuerò a farlo, fino alla fine dei miei giorni»
    E in quel momento, ecco che sentii un grande peso sciogliersi; d'un tratto ero già più leggera, ma non completamente "libera". Avevo perso la mia famiglia, proprio ora che avevo ritrovato mio padre. Sapevo che la mia decisione di tornare con il Dottore li aveva tanto feriti, quanto rallegrati perchè vedermi bloccata in quell'universo era come vedermi morire, ma, alla fine, per quanto io in quel momento potessi essere stata felice, loro avevano perso a tutti gli effetti una figlia. Ora ero sola. Come lui d'altronde. Ora capivo, certo, non del tutto, ma capivo in minima parte quanto male facesse trovarsi soli e, non lo nego, probabilmente mi sentii peggio per il Dottore che per me. Lui aveva davvero perso tutto, ma io, finchè il mio cuore non avesse ceduto, ci sarei stata. Mi presi il mio tempo, aspettai di esaurire le lacrime, di riavere il fiato.
    «Ok» mormorai, asciugandomi il viso «Ora va meglio» conclusi, tirando un respiro profondo.
     
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  12. miry«
     
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    Non dissi altro, aspettai che fosse lei a parlare, e le lasciai tutto il tempo necessario. Non avevamo alcuna fretta... Beh teoricamente qualcuno mi aspettava a Parigi, praticamente nessuno era importante quanto Rose. Nessuno. Avevo conosciuto miliardi e miliardi di persone e avevo visto miliardi e miliardi di luoghi, ma potevo vederne ancora miliardi e più che nessuno, e sottolineo nessuno, sarebbe stato importante per me quanto la mia piccola, fantastica Rose. Quando prese a parlare ero prontissimo a rassicurarla, sicuro lei iniziasse a parlare della sua famiglia e di quanto gli mancasse. Ma, come sempre, lei mi sorprese e non poco con quelle stupende parole. Sentii i miei cuori battere sempre più forte per poi mancare un battito ciascuno quando chiaramente ammise di amarmi. Non era la prima volta che me lo diceva, ma certamente quelle circostanze erano totalmente diverse da queste. In primis, io ero convinto non l'avrei più rivista; secondo, non eravamo così vicini, così a contatto. Mi chiesi se lei avesse sentito la reazione dei miei cuori alle sue parole e se si fosse accorta fossi rosso in volto. Perchè si, sapevo di esserlo. Come sapevo che mi conosceva così bene da immaginarsi la mia reazione.
    "Già, Dottore, qual'è la tua reazione?" Questa era una bella domanda. Ero solo riuscito a sorridere come un ebete - felice eh, ma pur sempre ebete - e mi ritrovavo di nuovo in quell'odiosa circostanza in cui non sapevo quale fosse la cosa giusta da dire o fare, o la sapevo ma non avevo il coraggio di farla. Erano tante le opzioni, tantissime, e non sapevo nemmeno quale lei volesse. Sospirai felice e cercai di essere il più spontaneo e aperto possibile, riuscendoci solo a metà. Le posai un bacio sui capelli e, restando lì, sussurrai:
    «Ti amo anch'io Rose..» Questo fu tutto quello che riuscii a dire, e fu anche già tanto. Avrei voluto aggiungere che non c'erano problemi, che non doveva spiegarmi niente, ma lasciai che dalla mia bocca uscissero solo quelle 5 parole: semplici ma sincere e riassuntive. Spostai le labbra dalla sua testa e tornai ad abbracciarla solamente, aspettando finisse di sfogarsi. Mi scostai di poco per vederla ma sia senza sciogliere l'abbraccio, sia senza starle troppo vicino col volto. Non volevo rischiare. Non dissi niente, semplicemente sorrisi e tolsi un braccio da attorno a lei per estrarre un fazzoletto dalla tasca della giacca e porgerglielo. Sovrappensiero, asciugai una lacrima rimasta sulla sua guancia con un dito, sorridendo.
     
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  13. Leah.
     
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    Ci volle un po', prima che le lacrime terminassero, prima che quella vocina dentro di me non dicesse "Basta". Quella piccola e debole voce si era fatta sentire, si era esposta tra tutta quella malinconia e tristezza. Quella parte di Rose che mi ero lasciata alle spalle, che avevo dimenticato; l'avevo lasciata nell'ombra, soffocata dal dolore, chiusa in quella rete di rassegnazione. Ora respirava di nuovo, ora era arrivato il suo momento. Quella Rose, con gli occhi infuocati e il cuore rinato. Lei era tornata.
    La prima volta che il Dottore mi aveva lasciato, era rimasta lasciata ferita. La seconda volta, si era arresa. Anche io l'avevo lasciata: lei era tutto ciò che mi ricordava il Dottore, lei era un dolore troppo forte da sostenere. Avevo vissuto lasciando che le altre parti di me prendessero il controllo del mio corpo, ormai ridotto a una marionetta spezzata. Ero un fantoccio fatto a brandelli dai ricordi.
    Ora però era diverso. Lei era tornata, Io ero tornata. Riavevo una vita davanti e avrei combattuto per viverla nei migliori dei modi con l'uomo che amavo.
    Avevo perso tutto ciò che avevo.. Ma ne ero davvero sicura? La mia famiglia mi aveva già perso, da molto tempo. Anche loro vivevano con un ricordo di me che non corrispondeva più alla realtà. Non ero più la loro bambina, ero un fantasma che viveva in un corpo che non gli apparteneva più. E loro lo sapevano, eccome se lo sapevano. Ora il mio compito era renderli fieri di me. Anche se non potevano vedermi, sentirmi ed abbracciarmi, io li avrei resi fieri. Per quello che mi riguardava, sentivo ancora il profumo di mia madre e la risata di mio padre, vedevo il sorriso di mio fratello. Sapevo anche che una tazza di té avrebbe risolto ogni problema, non sarebbe stata mia madre a prepararla, ma sapevo che per lei sarebbe stata la soluzione giusta. Loro sarebbero stati con me, sempre.
    Presi il fazzoletto che mi porse il Dottore, asciugai le ultime lacrime, grigiastre e nere a causa del trucco colato. Mi promisi che quello sarebbe stato il mio ultimo crollo, che mi sarei sbarazzata di quelle ultime lacrime e che avrei ricominciato da zero. Sbagliando, inciampando e rialzandomi sempre.
    Ecco la parte di me che era riemersa, quella che aveva fiducia e, soprattutto, speranza. Abbozzai un sorriso e poggiai la fronte sulla tempia del Dottore. *Si Rose, è reale* mi ripetevo *E' lui*.
    Ero riuscita a "sputare" fuori ciò che provavo e non me ne pentivo. Forse era quello che avevo davvero bisogno per riappropriarmi di me stessa. Ora i miei occhi avrebbero avuto una luce diversa, il mio cuore avrebbe ricominciato a battere come prima.
    «Grazie» mormorai. Rimasi immobile per pochi secondi, chiedendomi se quello che stavo per fare sarebbe stata la scelta giusta, ma poi mi dimenticai di tutti quei ragionamenti: se mi sentivo di farla, perchè doveva essere sbagliata?
    Mi allontanai di poco, incrociando il suo sguardo. Quegli occhi, così carichi di ricordi e vite vissute. Quegli occhi che mi avevano rapito, che avevo visto cambiare, che mi avevano fatto innamorare. Mi morsi leggermene il labbro inferiore, per poi avvicinare le mie labbra alle sue, lentamente e dolcemente. Gli schioccai un bacio, rimanendo poi a pochi centimetri di distanza, non sapendo bene che fare, sapendo solo che avevo fatto la cosa giusta.
     
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  14. miry«
     
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    Era come se nei suoi occhi potessi leggere tutto, come se riuscissi a sentire la paura e il dolore che stava lasciando andare con quelle lacrime, per lasciar posto alla Rose di sempre, la Rose per cui io non mi ero mai arreso. La stessa Rose con cui ora, contro tutte le mie più grandi paure, avrei passato il resto della sua vita. Si, ero ancora consapevole del fatto che lei avrebbe passato il resto della sua vita con me ma io non avrei passato il resto della mia vita con lei. E ancora si, questa cosa dentro faceva male, e non poco. Ma ormai ero convinto, ormai mi ero deciso: avrei vissuto con lei, godendomi giorno per giorno ciò che la vita - e il Tardis - ci avrebbe regalato. Ogni secondo con lei sarebbe stato prezioso e non ne avrei sprecato più nemmeno uno. Sorrisi solamente al suo grazie, staccandomi di quel poco che bastava per lasciarle spazio per asciugarsi le lacrime. Quel sorriso parlava per me, come esattamente il suo sguardo lo faceva per lei. La vidi mordersi nuovamente il labbro e sentii i cuori fermarsi, per poi accelerare i battiti quando lei poggiò le labbra sulle mie in un piccolo e dolce bacio. Chiusi gli occhi non appena sentii il contatto, e li riaprii piano quando si staccò. La ritrovai vicinissima al mio volto, i nostri nasi che praticamente si sfioravano e non riuscii a non guardarle le labbra, mordendomi l'interno del mio labbro, indeciso. Mi sentii avvampare ad averla così vicina e no, non potevo farcela. Mi alzai, sorridendo come a scusarmi e grattandomi appena la testa, imbarazzato e restando di spalle.
    «>Forse dovremmo andare... cioè tu dovresti farti una doccia...» Si sentiva chiaramente che il mio tono era tutt'altro che convinto. Lo era perchè, dentro me, sentivo di star sbagliando, sentivo che quella non era la cosa giusta da fare. Perchè dovevo tirarmi indietro se lo volevo e se, chiaramente, anche lei lo voleva? Non era la prima volta, l'avevo già baciata oggi, ed ero sicuro che se l'avessi guardata lei avrebbe avuto uno sguardo deluso. No, forse deluso, forse stava semplicemente ridendo di me e scuotendo la testa rassegnata. Sicuramente, sperava io cambiassi idea. E sapete una cosa? Lo speravo anch'io. Così, dopo tutti questi ragionamenti che nella mia testa durarono si e no un secondo, scossi la testa e mi voltai, sedendomi di nuovo. Allungai una mano sul suo viso in un gesto più che spontaneo e mi avvicinai quasi lentamente, tenendo gli occhi aperti fino a quando non sentii il contatto con le sue labbra. Qui li chiusi e, stringendola a me con la mano libera, la baciai, sorridendo, fiero di me stesso.
     
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  15. Leah.
     
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    Forse avevo esagerato, forse avevo pensato più a me stessa che a lui, forse avrei dovuto aspettare. Non era solito a quel tipo di cose, non che io lo fossi, ma per me era diverso. Lo vidi alzarsi e cercai di continuare a ripetermi che andava bene così, era stata colpa mia. Avrei voluto dire qualcosa, ma non riuscivo a fare uscire le parole di bocca. Ero delusa di me, l'avevo messo a disagio, cosa che non avrei mai voluto fare. La mia abilità nel rovinare sempre tutto trionfava ancora.
    Mi inumidii il labbro superiore, abbassando leggermente il capo, forse rassegnata per l'errore appena commesso. No, un momento, quale errore? Sentivo che in quel momento era la cosa giusta. Avevo una vita davanti, certo, ma era comunque una vita da mortale, non potevo permettermi rimpianti. Quanto mi terrorizzava ancora quella parola; sarebbe arrivato il momento in cui avrei dovuto lasciarlo. Chi ci sarebbe stato al suo fianco? Avrebbe viaggiato solo? Mi faceva male, soffrivo solo al pensiero.
    Certo, sapevo che avrei lottato fino all'ultimo per la mia e la sua vita, ma comunque la morte era lo step che avrei dovuto obbligatoriamente affrontare.
    Mentre annegavo in quel mare di pensieri, lo ritrovai seduto accanto a me. Sentii la sua mano sul mio viso e, con il cuore che batteva più velocemente di quanto pensassi, le sue labbra raggiunsero le mie. Mi aveva presa alla sprovvista, sicuramente non me lo sarei mai aspettata dopo ciò che era accaduto poco prima, ma di una cosa ero certa: ero davvero fiera di lui. Aveva vinto un grande ostacolo, forse anche per me.
    Mi avvolse in un abbraccio, che ricambiai felicemente, facendoci sbilanciare all'indietro sul letto.
     
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