Let's go back to the start?

Sala Comandi

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  1. miry«
     
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    Trascinai Rose con me, indicandole ogni tanto la strada e controllando che, nonostante la caviglia, riuscisse a tenere il mio passo. Soprattutto, però, controllai che nessun alieno ci sbarrasse la strada. La gente urlante era diminuita, ma il cielo scuro e i rumori di atti vandalici da parte di Weevil o altri alieni ricordavano il caos che stava attanagliando Cardiff. Per fortuna, la strada era breve e avemmo la fortuna di non incontrare alieni o altri ostacoli se non oggetti distrutti o pali della luce caduti. Quella città stava letteralmente cadendo a pezzi, e questa cosa mi faceva male. Niente e nessuno si meritava un trattamento del genere. Continuavo a non capire perché la maggior parte delle razze aliene odiava la razza umana perché li considerava dei barbari, dei sanguinari. E poi? E poi diventavano esattamente come loro, se non peggio.
    Finalmente, intravidi la mia cabina in lontananza.
    << Eccola!>> urlai per farmi sentire, indicandogliela. E in quel momento, mentre ci avvicinavamo, sentii i battiti cardiaci accelerare. Non era solo l'adrenalina e l'ansia del momento, ma la gioia al pensiero che, a breve, saremmo stati nuovamente in tre, noi tre. Rose Tyler, nel Tardis, con il Dottore. Quel pensiero mi fece aumentare il passo, impaziente di avverare quello che entrambi, fino a poco fa, credevamo impossibile. Quando eravamo ormai vicina ad essa, corsi sempre meno velocemente fino a fermarmi davanti al Tardis. Nonostante tutto quello che stava succedendo attorno a noi, nonostante tutto quello che stavamo per affrontare, non riuscii a trattenermi: le lasciai la mano, mi appoggiai al lato della cabina con una mano e con l'altra, in un gesto molto teatrale, schioccai le dita. Subito, al suono, le porte del Tardis si aprirono.
    << Dopo di lei.>> la invitai, quasi galantemente, indicandole l'entrata con la mano libera. Nel tutto, non riuscii a non rivolgerle l'ennesimo, grande, sincero sorriso. Eravamo di nuovo a casa.
     
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  2. Leah.
     
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    Uscimmo da Torchwood, di corsa, come sempre, per contribuire a sistemare il caos che era intorno a noi: uomini, donne e bambini in preda al panico che urlavano, piangevano.. La situazione era tremendamente grave. Riuscivo quasi a percepire il terrore nell'aria, ma anche un calore che non seppi definire quando finalmente riuscimmo ad intravedere il Tardis.
    Da galantuomo, qual'era, il Dottore aprì le porte della cabina blu, concedendomi di entrare per prima e, si, era sempre più grande all'interno.
    Corsi in giro, riconoscendo i vari pulsanti, leve e tutti i marchingegni strambi che servivano per far "volare" la nave.
    Dire che ero elettrizzata, era dir nulla. Mi sistemai vicino a un monitor, facendo scorrere le dita tra tutti i comandi, facendo ben attenzione a non attivarli, sentendo leggere scosse, come se il Tardis mi avesse riconosciuto.
    «Casa, dolce casa» mormorai, guardandomi intorno, con gli occhi lucidi. Avevo sognato quel momento così tante volte che quasi non mi sembrava vero.
    «Rose Tyler, nel Tardis, con il Dottore» dissi, spostando lo sguardo sul Dottore, sorridendo come mai avevo fatto in vita mia.
    Sapevo che non era il momento di lasciarsi andare, ma volevo concedermelo, almeno questa volta, perchè se mai fossi stata rispedita indietro non avrei mai voluto perdermi un attimo di tutto ciò che stava succedendo in quel momento.
    «Mi è mancata» continuai, accarezzando la nave, per poi mettermi le mani nelle tasche ed aspettare indicazioni.
     
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  3. miry«
     
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    La seguii nel Tardis, chiudendo la porta dietro di me ed entrando a passo lento, le mani nelle tasche dei pantaloni. Volevo godermi a pieno quel momento in cuor mio tanto sperato ma mai atteso perchè ritenuto impossibile. Era veramente qui, Rose Tyler era nuovamente e veramente nella mia macchina del tempo e dello spazio. Mi avvicinai piano alla console, osservando ogni suo piccolo movimento, dandole il tempo di "ri-ambientarsi" a casa sua. A casa nostra.
    Quando pronunciò quelle parole, dando voce a ciò che avevo pensato io poco prima, sentii i miei occhi farsi lucidi e ricambiai il suo sorriso, fermandomi davanti al Pannello Meccanico per tirare la leva e bloccare le porte.
    Non immaginava quanto anche lei fosse mancata al Tardis. Non sapevo spiegarlo con esattezza, ma c'era sempre stato un legame tra me e il Tardis, sin dalla prima volta, da quando l'avevo "presa in prestito": era come se ci capissimo l'un l'altra, come se, anche priva di voce, riuscisse a comunicare con me. E, in quel momento, mi stava comunicando che anche lei era davvero felice di rivedere Rose. Mi spostai davanti alla tastiera e puntai il cacciavite sonico allo schermo, inserendo le coordinate della Fessura. Alzai il volto, i miei occhi cercarono e trovarono quelli della mia compagna di viaggio.
    << Anche tu ci sei mancata, moltissimo.>> le risposi sincero, anche a nome del Tardis. << Viaggiare non era lo stesso senza di te.>> confessai poi, abbassando il capo ad attivare l'Acceleratore Atomico.
    Subito dopo, mi raddrizzai e la raggiunsi, serio. Cardiff aveva bisogno di noi ma, prima di tutto, LEI aveva bisogno di ME. Non volevo deluderla, mai più. E, per evitare che ciò accadesse, dovevo chiederglielo.
    << Rose, te la senti di tornare su quella Baia?>> Mentre pronunciavo quella domanda, dolorosa per entrambi, cercai di essere forte e determinato. Non potevo crollare, non adesso. Ero certo che entrambi fossimo coscienti del 50% di possibilità che, nuovamente, io tornassi indietro senza di lei. Per questo feci un passo verso di lei, le poggiai una mano sulla spalla e aggiunsi:
    << Prima di rispondere, sappi che non ho la minima intenzione di perderti di nuovo.>>
     
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  4. Leah.
     
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    Ricordavo ogni singolo corridoio ed ogni porta.. Chissà se avesse cambiato qualcosa dall'ultima volta, chissà se da qualche parte ci fossero ancora le cose che avevo lasciato. Avevo tante domande per la testa, ero sempre stata curiosa e, soprattutto, una che odiava aspettare. Avrei voluto scappare subito a riesplorare ogni anfratto del Tardis, ma Cardiff chiamava.
    Arrossii lievemente quando il Dottore disse, con altre parole, che gli ero mancata. Amavo quando si sforzava di essere meno impacciato.. Certo, avrebbe dovuto lavorarci ancora, ma era davvero adorabile, se così si potrà mai definire un Signore del Tempo.
    Sapevo di essermi goduta abbastanza la parte piacevole, quando mi mise davanti la verità: bisognava tornare sulla Baia.
    Sospirai, in quel momento arrivò la parte dolorosa: parlare dei rischi. Entrambi sapevamo cosa sarebbe potuto accadere, entrambi eravamo coscienti di ciò che si sarebbe potuto ripetere. Sentii la sua mano sulla spalla, calda, e leggevo la preoccupazione nei suoi occhi. Misi la mia sopra la sua e lasciai affondare la testa nel suo petto. Sentivo i cuori battere, il suo respiro che spostava i miei capelli e faceva male pensare che quella sarebbe potuta essere l'ultima volta.
    Certo, ero stata io ad "azionare" quel frammento e ad aprire le fessure, ma forse ora il mio desiderio di restare non poteva contrastare la potenza di tutti quei varchi, nonostante fosse molto forte.
    «Sarò con te, fino alla fine» dissi, con gli occhi chiusi, per evitare di piangere «Che sia oggi, domani o tra anni ed anni.. Sarò con te».

     
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  5. miry«
     
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    Non appena poggiò la sua mano sulla mia, sentii come una scarica di calore partire da quel semplice contatto ed attraversare il mio corpo. Quando poi si lasciò abbandonare sul mio petto, feci il gesto più umano di tutti, il gesto che più mi usciva automatico con lei: l'abbracciai, poggiandole una mano sulla schiena e l'altra sui capelli. Non avevo bisogno di vederla in volto per capire che anche lei, come me, sapeva che molto probabilmente quello era l'ultimo momento insieme, l'ultimo abbraccio. Per quanto determinato fossi, per quanto fossi pronto a combattere con tutte le mie forze per impedire l'ennesima nostra separazione, sapevo anch'io che c'erano punti fissi nel tempo che non potevano essere riscritti. E se, per le Leggi del Tempo, Rose Tyler sarebbe dovuta restare nel mondo parallelo? Non volevo nemmeno pensarci. Chiusi gli occhi un attimo, poggiando il mio mento sulla sua testa e sospirando. Avrei dato di tutto per sapere se quello sarebbe stato l'ultimo momento insieme, l'ultimo nostro abbraccio. Dentro di me sapevo che, volente o nolente, il meglio per lei era vivere quella vita con John Smith nel mondo parallelo. Ma si poteva chiamarla vita se non era felice?
    Le sue parole mi fecero sia bene che male allo stesso tempo: ero felice di sentirmi confermare ancora una volta che lei non voleva abbandonarmi, ma faceva male anche solo ipotizzare che la fine, probabilmente, era vicina. Spostai la mia mano dai suoi capelli al suo volto, alzandoglielo appena per permettermi di guardarla negli occhi.
    << Forse non sono stato abbastanza chiaro.>> iniziai, più serio e determinato che mai. Volevo fosse ben chiaro nella sua testa, volevo capisse quanto avrei lottato per lei.
    << Farò più dell'impossibile per impedire a chiunque o qualunque cosa di separarci ancora. Hai la mia parola.>> Scandii chiaramente, pronunciando ogni singola parola con sicurezza e convinzione, senza sciogliere il contatto nè col suo volto nè coi suoi occhi. Se ero arrivato a bruciare un sole solo per dirle addio, questa volta sarei arrivato perfino a ricreare un Big Bang per non perderla di nuovo.
     
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  6. Leah.
     
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    Sentii le sue braccia avvolgermi e mi godetti quell'abbraccio come se fosse l'ultimo, capendo che più il tempo passava, più l'incubo del ritorno al mondo parallelo si faceva reale. Cominciai a realizzare che, se fosse accaduto nuovamente, questa volta sarebbe stata ancora più dura delle altre: mi sarebbe stata strappta via la speranza. Sapevo che se fossi tornata indietro, non sarei più riuscita a rivederlo, non questa volta, ma sapevo anche che il Dottore avrebbe fatto di tutto per non lasciarmi andare.
    Avevo azionato il frammento del Tardis grazie al mio desiderio, perchè non potevo provarci di nuovo? Insomma, se solo grazie alla mia determinazione avevo fatto in modo di aprire un varco tra le due dimensioni, beh, potevo sicuramente fare in modo di restare. E poi non potevo vivere quelli che potevano essere i nostri ultimi momenti, annebbiata dalla paura.
    «Questo lo so» risposi, schioccandogli un bacio tra la guancia e il labbro.
    Si, quando avevo detto che non volevo avere rimpianti nel caso in cui fossi tornata a quella "vita", intendevo davvero niente rimpianti. Mi aspettavo ancora qualcosa, ma volevo che facesse lui la prima mossa.
    Mi sganciai delicatamente dall'abbraccio, sistemandomi vicino a un sostegno, pronta per partire e a sopportare le frenate del Tardis.
    Lo guardai e sorrisi, senza dire una parola. Le parole ormai non servivano più, eravamo in balia del fato. Potevamo solo che sperare.
     
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  7. miry«
     
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    Da Signore del Tempo qual'ero, doveva esserci un modo per bloccarlo il tempo e restare così, giusto? No, invece no. Non esisteva. E questo mi faceva veramente male. Non volevo lei avesse paura, non volevo lei soffrisse ancora... non volevo restare di nuovo solo. Perchè solo in quel momento capii che poteva entrare chiunque nel mio Tardis, poteva accompagnarmi chiunque nelle mie avventure, ma solo con lei veramente non mi sentivo solo. Lei era il mio tutto, era colei che mi aveva reso migliore, e senza di lei ero solo l'Ultimo dei Signori del Tempo. Con lei, invece, ero molto di più.
    Lo sapeva. Questo mi rendeva più sicuro di me stesso. Si fidava ancora ciecamente di me, niente era cambiato tra noi. O forse qualcosa si... perchè Rose mi diede quel piccolo, lieve bacio con così tanta tenerezza, ma soprattutto vicinissimo alle labbra. Restai immobilizzato e sentii delle strane scariche lungo il mio corpo, strane sensazioni che non provavo da tempo. Ero talmente pietrificato che, nonostante non volessi, non fui capace di impedirle di sciogliere quell'abbraccio. Cosa dovevo fare ora? Sia chiaro che, nonostante il mio essere maldestro in questo genere di cose, avevo capito cosa lei volesse, e dentro me sentivo di volerlo anch'io. Ma ora? Come? Cioè io...
    La guardai allontanarsi di poco da me, pronta alla partenza del Tardis. Mi ci volle qualche secondo per riprendermi. Dovevo prendere una decisione: baciarla o partire col Tardis?
    Mi voltai e raggiunsi la tastiera, conscio di averla delusa, insultandomi mentalmente. Perchè dovevo essere così? Perchè non trovavo mai il coraggio di fare quel passo? Quanto mi odiavo per questo! Senza farmi notare da lei, finsi di controllare le coordinate per inviare un messaggio. Non ero sicuro, ma speravo lo ricevessero. Mi spostai per attivare le ultime cose, riprendendo a correre e saltellare intorno alla console come mio solito, per poi raggiungere l'ultimo comando. Prima di attivarlo, mi voltai verso di lei, e il mio sguardo era un misto di esultanza al pensiero di viaggiare ancora con lei e angoscia al pensiero della nostra destinazione e dei rischi che stavamo per correre.
    << Bentornata a bordo!>> le dissi, rivolgendole un sorriso che era l'esatto specchio del mio sguardo. Poi, reggendomi a mia volta, abbassai le leve, dando il via al Tardis.
     
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  8. Leah.
     
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    Lo vidi pietrificarsi per qualche secondo, impacciato come al solito, per poi riprendere a "trafficare" con i vari comandi del Tardis.
    Se me l'aspettavo? Si, ovviamente. Per me aveva già superato il suo "traguardo giornaliero" con quel ti amo. Un attimo, non avevo ancora realizzato: aveva detto che mi amava, davvero. Mi sentii esplodere dentro: come avevo fatto ad essere così stupida? Come potevo aver lasciato correre? Ok, dovevo calmarmi.
    Era decisamente la giornata che avrei ricordato per sempre. Avevo provato talmente tante emozioni che a stento ricordavo la differenza tra ciascuna di esse.
    Incrociai il suo sguardo, aveva gli occhi di un bambino che compie i primi passi all'esterno, felice di scoprire il mondo e, contemporaneamente, impaurito da ciò che lo aspettava. Ci stavamo mettendo in gioco, su ogni piano: come compagni di viaggio e di "vita", anche se non saremmo mai potuti stare insieme per sempre. Stavamo tornando alle origini, con qualche cambiamento, certo, ma stavamo ricominciando da capo, ci stavamo dando un'altra possibilità. Non riuscivo a pensare ad altro se non che volevo rimanere, per noi. Ero convinta che, se fossi rimasta concentrata su quel pensiero sarei riuscita a scampare un ritorno forzato e, nel caso contrario, beh, almeno ci avevo provato, con tutta me stessa. Anzi, ci avevamo provato.
    «Allons-y» dissi, tenendomi ben salda, dopo che azionò i comandi per la partenza e cominciammo a "ballare".
     
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  9. miry«
     
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    Risi nel sentirla pronunciare il mio intercalare francese preferito. La macchina, come sempre, partì con vari scossoni alla volta del vortice spazio-temporale. Tenendomi saldo, attento a non finire con le gambe all'aria, mi spostai al monitor per controllare che il messaggio fosse stato recapitato: non solo era arrivato, ma anche in tempo per far sì che loro fossero presenti al nostro arrivo. Corsi poi attorno alla matrice a controllare se tutti i valori erano nella norma, se tutto procedeva bene.
    *Spero di no.* Mi meravigliai io stesso di quel mio pensiero. Era la prima volta che mi trovavo a sperare che il Tardis sbagliasse, di solito mi irritavano i suoi errori. Se inizialmente avevo provato meraviglia, essa pian piano svanì, sostituita dal motivo per cui l'avevo pensato. Dentro di me speravo che un incidente di percorso ci vietasse di tornare , spaventato dal 50% di possibilità che giocava a nostro sfavore. Sapevo, però, che ciò non sarebbe mai accaduto: Cardiff era in pericolo, l'intera umanità sarebbe stata in pericolo se non avessimo risolto tutto il prima possibile. Dovevamo andare lì, dovevamo affrontare anche questa, dovevamo farcela. Non solo per Cardiff, non solo per il mondo o l'Universo, ma anche per noi. I livelli del Tardis, infatti, erano tutti più che perfetti, e sia la bussola che l'Acceleratore Atomico puntavano nella giusta direzione. Non ci volle molto prima che atterrammo, con il solito, vecchio, ormai famigliare scossone e suono subito dopo che attivai la leva di Materializzazione. Eravamo lì, eravamo a "Darlig ulv stranden".. eravamo alla Baia del Lupo Cattivo.
    Non ebbi il coraggio di guardare Rose in volto, era troppo il dolore, troppa la paura di perderla. Strinsi così la sua mano e piano, con passo quasi svogliato, la diressi alla porta d'uscita del Tardis. Una volta davanti, però, non ebbi il coraggio di aprirla. Ero pronto a perderla? Domanda stupida: ovviamente no. E, nei miei cuori, sentii che quella, molto probabilmente, poteva essere veramente l'ultima volta che la vedevo. L'ultima volta che stringevo la sua mano. Trovai la forza di alzare lo sguardo per guardarla negli occhi, cercando di convincermi che quella non sarebbe stata l'ultima volta, senza successo. Avevo così tanta paura....
    << Rose, io...>> iniziai, la voce che mi si spezzò in gola per colpa dei flashback dei nostri precedenti addii che si stavano susseguendo nella mia mente. E, con il dolore e la paura a darmi coraggio, mandai al diavolo tutto: al diavolo le mie ferite, al diavolo il mio essere impacciato, al diavolo il mio passato, al diavolo la paura. Io l'amavo e, se avessi aperto la porta alle mie spalle ora, senza aggiungere altro, avrei buttato all'aria l'ennesima occasione. E non potevo farlo, non questa volta. Alzai la mano libera fino a portarla sul suo volto. Stavo tremando leggermente e mi sentivo un bambino alle prime armi, ma non mi importava. Se questa volta non fossi andato fino in fondo, sapevo che me ne sarei pentito per tutte le mie rigenerazioni future. Mi avvicinai piano al suo volto - sicuro di essere completamente arrossito - e finalmente poggiai le mie labbra sulle sue, baciandola.
     
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  10. Leah.
     
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    Viaggiare nuovamente sul Tardis mi sembrava impossibile, ancora più impossibile era pensare che quello potesse essere il mio ultimo viaggio. Dovevo continuare a pensare positivo, ma.. Se il fato avesse deciso diversamente? Se mi avesse costretto a tornare e a continuare a stare con la metacrisi? Dovevo passare la vita a fingere? Basta.
    Non avevo mai chiesto nulla, non avevo mai preteso nulla, ma solo subito: solo in quel momento, sono in quell'occasione, meritavo di avere la vita che mi meritavo.
    Ci fermammo. Era giunto il momento. Sentivo il cuore in gola e gli occhi gonfi. Cominciai a prendere respiri profondi, sentendo che il Dottore si stava avvicinando a me. Mi prese la mano e ci trovammo davanti alla porta del Tardis. Evidentemente nessuno dei due in quel momento aveva il coraggio di aprirla e scoprire la verità: sarei rimasta sana e salva, nel Tardis, con il Dottore?
    I nostri sguardi si incrociarono e la prima lacrima scese automaticamente nonappena aprì bocca.
    Ebbi poco tempo per rendermi conto di quello che accadde successivamente. Nonostante l'atmosfera mista di paura e preoccupazione, mi sentii avvolgere da un calore mai sentito prima. L'ultimo dei Signori del Tempo, il mio Dottore, aveva deciso di abbandonare tutte le sue paure per farmi capire quanto realmente ci tenesse a me, baciandomi, un gesto così meravigliosamente umano.
    Con una mano gli afferrai la giacca, mentre con l'altra gli accarezzavo il viso, dimenticandomi per qualche secondo cosa ci aspettava al di fuori.. Se l'inizio di una nuova avventura o un addio.
     
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  11. miry«
     
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    Era come essere in uno stupendo sogno, uno di quelli che avevano sempre accompagnato i miei sensi di colpa da quando avevo lasciato che la mia metacrisi parlasse per me, da quando gli avevo permesso di baciare Rose al posto mio. Vederli lì, stretti l'uno all'altra in un bacio appassionato era stato il dolore più forte che avessi mai provato e che, ne ero certo, mai avrei provato.
    Questa volta era diverso, questa volta non stava baciando la mia metacrisi, non stava baciando John Smith. Questa volta stava baciando me. Per un assurdo secondo avevo avuto paura che lei mi rifiutasse, che mi spingesse via e mi tirasse uno schiaffo esattamente com'era successo quando ero corso da lei nel Nucleo di Torchwood. Non sapevo con esattezza il perchè di quel mio breve timore: forse era colpa della mia insicurezza o forse del fatto che, se fuori da quella porta ci aspettava un addio, sarebbe stato più doloroso dei precedenti. Non lo sapevo e, sinceramente, non mi interessava. Per una volta, una piccola unica volta, volevo godermi quell'egoistico momento. Se fosse stato l'ultimo nessuno dei due avrebbe avuto rimpianti, se invece lei fosse rimasta con me beh.. avrei dovuto trovare il modo per migliorare in queste cose.
    La sentii tirarmi verso di sè ed accarezzarmi il volto. Quei gesti, uniti al calore delle sue morbide labbra che si modellavano alle mie, risvegliarono in me quei piccoli gesti umani sepolti da anni: tolsi la mano dal suo volto solo per stringerla contro di me, abbracciandola forte, senza smettere di baciarla. Ora capivo tutto, ora capivo gli umani e il loro modo di "avvinghiarsi" l'uno contro l'altra. Era una cosa che usciva spontanea. Una volta iniziato, era come se volessi non finisse mai, soprattutto se temevi fosse l'ultima volta. Che coincidenza, per noi quella possibile ultima volta era anche la prima. Ed era la più bella cosa che avessi mai provato: i nostri 3 cuori che battevano all'impazzata e all'unisono, i nostri respiri che si facevano pian piano più affannati. Era l'amore, quello vero.
    Anche se contro voglia, fui costretto a rompere quel bacio, conscio di non avere molto tempo a disposizione. Mi sentivo un perfetto imbranato, se non peggio, e speravo di non aver rovinato niente. Le diedi un altro, piccolo bacio a fior di labbra, come se non riuscissi a staccarmi da lei. E infatti l'unica cosa che riuscii a fare fu' aprire gli occhi e guardarla sorridendo, un sorriso colmo di felicità e amore. Ero veramente fiero di me stesso, di esserci finalmente riuscito. E, dopo questo bacio, ero pronto ad affrontare qualsiasi cosa ci aspettasse.
     
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  12. Leah.
     
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    Sembrava paradossale cominciare qualcosa proprio nel luogo in cui ci eravamo detti più volte addio.
    Sentivo le lacrime, fredde, scivolare lungo il viso, compensate dal calore del suo corpo. Lentamente i nostri battiti si uniformavano, dando vita a un ritmo comune: cominciai a calmarmi, a ricordare quello che dovevamo fare.
    Dopo quell'ultimo bacio, mi riavvicinai a lui, carezzandogli il viso per calcare ogni suo lineamento o ruga di espressione, forse per non aver modo di dimenticarli, e lo guardai con serietà.
    Sapevamo entrambi i rischi e le responsabilità, ma sapevo com'era fatto meglio di quanto sapessi com'ero io: si sarebbe sentito in colpa, per il resto della sua lunghissima vita. Da un lato, la morte poteva essere una liberazione: per me, tutto sarebbe certamente finito prima o poi, ma lui si sarebbe portato dietro un peso non da poco.
    «E se..» mi fermai, non volevo dire altro, avrebbe capito «Voglio che tu sappia che non sarà colpa tua..» dissi, accennando un sorriso forzato «Sappiamo che quando richiuderemo questo varco non ci sarà più alcuna possibilità di riaprirlo» continuai, sospirando. Mi piangeva il cuore a fare quei discorsi, ma dovevo farlo, dovevo essere chiara.
    «Ma, nel caso contrario.. Non mi hai mai portato a Parigi» dissi, per smorzare l'attenzione, voltandomi verso la porta, mentre gli tenevo stretta la mano «Pronto?»
     
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  13. miry«
     
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    Quando prese ad accarezzarmi il viso, mi venne spontaneo chiudere gli occhi, ma non lo feci: volevo godermi a pieno ogni singolo momento con lei, non volevo sprecare nemmeno un'occhiata. Avevo così paura quella fosse l'ultima volta in cui avrei potuto ammirarlo che lasciai cadere una singola, lenta lacrima. Continuavo a chiedermi perché il destino fosse così crudele con noi due, perché il fato non ci lasciasse semplicemente vivere quella vita che sarebbe stata già complicata di suo. Quando aprì bocca, lasciando la prima frase incompleta, sentì due strette all'altezza del petto. Nemmeno lei aveva il coraggio di pensarci. Non dopo tutto, non dopo questo bacio. Scossi appena la testa, in totale disaccordo con le sue parole: sarebbe stata solo e soltanto colpa mia se lei fosse rimasta, di nuovo, in quel "maledetto" mondo parallelo. Sarebbe stata colpa mia, perché significava che non avevo fatto più dell'impossibile come le avevo promesso. Significava che non avevo mantenuto la mia parola. Che ci saremmo ritrovati entrambi da soli, di nuovo e questa volta per sempre. Riuscii poi a sorridere a quella sua lieve battuta per smorzare il peso che sentivamo. E, a quella battuta, decisi che l'avrei portata indietro, a qualsiasi costo!
    << Allora, comincia a pensare che periodo di Parigi ti piacerebbe visitare.>> le risposi, più sicuro che mai, aprendo finalmente la porta del Tardis ed uscendo prima di lei questa volta.
    Davanti ai nostri occhi, nuovamente, ritrovai quell'ampia distesa di sabbia fine e quella leggera brezza. Solo la stretta di Rose e il ricordo di ciò che era accaduto poco prima nel Tardis mi aiutarono a non crollare per via dei dolorosi ricordi che quella baia risvegliava. Davanti a noi, inoltre, trovammo un uomo del tutto identico a me e una donna bionda ad aspettarci. John Smith e Jackie Tyler erano lì, avevano ricevuto il mio messaggio. Li salutai con un cenno della mano libera ma, prima di parlare mi voltai verso Rose e iniziai a parlare prima che potesse fraintendere, prima che pensasse li avessi chiamati per farle cambiare idea.
    << Li ho avvisati io. Grazie alla Fessura ancora aperta, sono riuscito a mettermi in comunicazione con.. me.>> mi spiegai, indicando la mia metacrisi. << E l'ho fatto per due motivi: sia per essere certo che il frammento stia al sicuro e lontano da qui, sia per permetterti di salutarli.>>
    Avrei anche aggiunto che lei era libera di scegliere se restare in quel mondo o seguirmi ma non lo feci. Il dolore nel pronunciare quelle parole questa volta non centrava. Non lo feci perché sapevo che aveva già scelto. Lanciai poi il frammento alla mia metacrisi, che lo afferrò al volo. Non dovevo aggiungere parole, sapeva esattamente cosa doveva fare. Eravamo come una persona unica, in fondo.
    << Abbiamo si e no 10 minuti.>> avvertii poi Rose, lasciandole la mano per permetterle di andare a salutare sua madre e "John".
     
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  14. Leah.
     
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    Cominciare a pensare all'epoca? Sorrisi, ogni epoca sarebbe andata bene con lui.
    Le porte si aprirono e, con mio grande stupore, vidi la mia famiglia e.. lui. Sospirai, incapace di proferire parola, osservandoli tutti.
    Vidi mia madre, con il mio fratellino e mio padre, addolorati perchè sapevano cos'avrei fatto e John, lì, a guardarci con aria di sfida e disappunto.
    Mi sentii stringere il cuore, ma sapevo che avevo solo dieci minuti per dire addio alle persone che avevo più a cuore. Corsi ad abbracciare mia madre, che scoppiò meccanicamente a piangere. Non mi supplicò di restare, mi strinse solo forte e, con un filo di voce, sussurrò: "Sii prudente Rose e non dimenticarci" seguito da un "Ti voglio bene" soffocato dai singhiozzi. Sapeva che la vita con il Dottore era tutto ciò che avevo sempre voluto e che, nonostante tutti i miei sforzi, non mi sarei mai adattata a quella quotidianità con la "brutta" copia dell'uomo che amavo. Abbracciai mio padre, l'uomo che avevo cercato per spazio e tempo e che, dopo così poco, mi trovavo a lasciare. Non riuscì a dirmi nulla, se non che sarei stata sempre il suo cuore.
    «Prenditi cura di mamma» gli dissi, per poi abbracciare il piccolo. Forse non ero stata una gran sorella maggiore, ma sapevo che sarebbe stato in buone mani. Gli carezzai il viso e gli baciai la fronte per poi andare verso John. Continuava a guardarmi negli occhi, sfidando il mio sguardo, colpevole, a mantenere il contatto visivo con lui.
    Ci trovammo faccia a faccia, in religioso silenzio, a trovare le parole giuste: non era facile, nonostante non l'amassi, lui era davvero innamorato di me. Spesso parlava di matrimonio, famiglia, tutti concetti che non potevo associare con lui e mai avrei potuto.
    Presi fiato, ma lui mi precedette. "Quindi.. Hai fatto la tua scelta" disse, con la voce spezzata. Annuii e, nuovamente, non mi lasciò il tempo di parlare. "Io posso darti tutto quello che ti serve Rose" mi prese dolcemente per un braccio "Una vita normale, una famiglia e tutto l'amore che desideri. Ma lui.." e si voltò verso il Dottore, con lo sguardo traboccante di odio "Cosa credi che possa darti? Non un futuro, non la sicurezza che meriti" continuò, continuando a guardarlo, quasi come se fosse una sfida tra loro due ed io fossi il premio.
    «Smettila» dissi, prima che mi precedesse nuovamente «Adesso basta» gli scostai la mano e, con non so quale forza, lo guardai negli occhi per poi confessargli tutta la verità: «Io non ti ho mai amato e mai ti amerò».
    Riuscivo a sentire il suo cuore sbriciolarsi e il mio sanguinare, ma dovevo continuare. «Ci ho provato, ma non posso più fingere, mi dispiace» dissi, facendo qualche passo più indietro. Non mi era mai piaciuto ferire le persone, non era da me, ma questa volta dovevo farlo, per il suo bene. Avrebbe potuto rifarsi una vita, con una compagna che meritasse davvero tutto ciò che lui aveva da offrirle, ma non con me, mai. Il suo volto si riempì d'odio, cominciò a stringere i pugni tanto che pensai che potessero sanguinare da un momento all'altro.
    "Credi che sia la cosa giusta, eh?" chiese, con tono feroce, al Dottore "Sai benissimo che non lo è, sei solo un egoista!" concluse, cominciando ad urlare, come se fosse in una qualche battaglia.
     
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  15. miry«
     
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    Dentro di me sapevo che sarebbe andata a finire così, anche se speravo la mia metacrisi fosse "meno umana" in questo caso e facesse ciò che Rose voleva. Invece no, era partito in quarta ad attaccarmi e cercare di difendere la sua storia. Quanto lo capivo: al suo posto, nei suoi panni, avrei fatto lo stesso. Era così umano rispetto a me, si lasciava trascinare dalla rabbia e dall'odio. D'altronde era nato in guerra e non era passato abbastanza tempo per far si che Rose l'avesse guarito, che l'avesse reso un uomo migliore come aveva fatto con me. Sospirai e lo guardai, lasciandolo sfogare, senza proferire parola. Quasi sentii il suo dolore quando Rose, crudelmente, ammise di non averlo mai amato, lasciando sottinteso che lui non era e mai sarà come me. La cosa che faceva più male, però, era che quelle parole che "John Smith" stava urlando erano più che veritiere. Che vita potevo darle io? Nessun futuro certo, nessuna sicurezza. Non una vera casa, non una famiglia. E quel pensiero, quelle parole, mi ferirono nel profondo. Chiusi appena gli occhi quando inferì contro di me, alzando il tono di voce. Aveva ragione, lui aveva dannatamente ragione: ero solo un egoista. Uno stupido egoista. Mi diressi verso di lui, le mani in tasca, e mi fermai solo quando fui un passo davanti a Rose. Non volevo si mettesse in mezzo.
    << E' inutile che me lo chiedi, sappiamo entrambi che hai ragione tu.>> ammisi triste, col tono totalmente calmo rispetto al suo. << Hai ragione, Dottore. Io non posso darle una vita, non posso darle un futuro certo e nemmeno una casa. Sono solo un grandissimo egoista.>> Abbassai lo sguardo, colpevole. Dio se faceva male ammetterlo ad alta voce, era come se i miei cuori fossero spezzati in quattro pezzi. Sospirai ancora, lanciando un piccolo sguardo a Rose alle mie spalle, per poi guardare la sua famiglia. Loro si fidavano di me, lei si fidava di me. Lei mi amava, e finalmente era sicura l'amassi anch'io.
    *Le hai dato la tua parola!* Fu questo semplice ricordo a darmi la forza di alzare la testa e continuare.
    << Ma che razza di mostro sarei se la lasciassi qui, a vivere una vita che lei non ritiene tale? Stare con te sarebbe la soluzione migliore per lei, ma non è quello che vuole. E io non ho intenzione di farla soffrire di nuovo. Chiamalo egoismo, chiamalo come vuoi. Io lo chiamo amore.>> Pronunciai quelle parole con un tono totalmente tranquillo e controllato, senza staccare il contatto visivo da lui. Poi, finito di parlare, tesi la mano indietro, verso Rose, mentre aspettavo la risposta della mia metacrisi.


    Edited by Leah. - 12/10/2013, 00:41
     
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