La Vie en Rose

Parigi (Francia), 1889

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  1. Leah.
     
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    Il guardaroba del Tardis, avrei potuto perdermici per ore. Amavo quel posto, adoravo sbirciare tra le grucce, scoprendo vecchi abiti impolverati, splendidi, mai indossati. Cominciai a correre per i vari corridoi, salire scale e scalette finchè, in lontananza, non intravidi ciò che cercavo. Era un abito blu, la gonna, non troppo vaporosa, con un bel corsetto con inserti di pizzo e maniche a tre quarti, dalle quali spuntava un merletto bianco. Lo indossai immediatamente, raccogliendomi i capelli, giusto per omologarmi allo stile dell'epoca, per poi darmi una rapida occhiata e sfrecciare giù per le scale, verso la Sala Comandi. Arrivata feci un rapido giro, sorridendo. «Allora?» chiesi al Dottore «Come sto?» risi, avvicinandomi per sistemargli la cravatta. La felicità e l'esaltazione erano palpabili; non vedevo l'ora di uscire, di cominciare il mio primo, e non ultimo, viaggio con lui. Aspettai che aprisse le porte del Tardis, per cominciare a guardarmi intorno, quasi con le lacrime agli occhi. Ogni volta uscire da quella cabina blu si rivelava qualcosa di meraviglioso ed impagabile. Parigi, 1889, inaugurazione della Tour Eiffel. Le persone, nei loro splendidi abiti d'epoca, si dirigevano in massa verso la struttura. Camminavano lentamente, probabilmente c'era ancora tempo prima della cerimonia. La intravedevo, in tutto il suo splendore, non era molto lontana. Era lucida, il sole la colpiva, esaltando la sua maestosità. Vedevo i volti della gente meravigliarsi, bambini increduli che facevano mille domande ai genitori. Ed i giardini.. Splendidi. Non ero mai stata a Parigi, non sapevo cos'avrei dovuto aspettarmi, ma ciò che vedevo soddisfava appieno le mie aspettative. Quasi non credevo di essere davvero lì. «E' magnifico» dissi, quasi sottovoce, mentre osservavo l'ambiente. Mi voltai verso il Dottore, prendendolo a braccetto, emozionata per cominciare quella nuova avventura con lui. «Monsieur» gli dissi «Faremo meglio ad avvicinarci per prendere i posti migliori» conclusi, stringendomi ancora di più a lui.
     
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  2. miry«
     
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    Come la vidi tornare restai letteralmente a bocca aperta. Quel vestito le stava d'incanto, sembrava una vera e propria dama ottocentesca, una di quelle da mozzare il fiato.
    «Stai...» iniziai a rispondere, ma mi accorsi di avere la gola quasi secca. Così mi schiarii la voce e avvampai sicuro per la piccola gaffe. Ci riprovai. «Stai magnificamente.» Riuscii a dire, sorridendole incantato proprio.
    Aperte le porte, lasciai che lei uscisse per prima e si godesse la vista della Tour Eiffel e la bellezza di Parigi. Per me, al contrario suo, non era la prima volta che mettevo piede a Parigi. Avevo perso il conto delle volte in cui ero venuto qui, ma ad essere sincero non ero mai venuto all'inaugurazione della Tour Eiffel. Tutta quella gente emozionata e ben vestita, fiera del proprio paese come solo i francesi riuscivano ad essere, che si precipitava con eleganza e classe impeccabile verso quello che sarebbe diventato il simbolo del loro paese, e a parer mio sarebbe dovuta diventare una delle meraviglie del Mondo. Di sicuro non dell'Universo perchè, senza offesa, avevo visto cose molto più fantastiche che un pezzo di ferro ben lavorato.
    Mi lasciai prendere a braccetto, tenendola vicina a me, e le rivolsi il mio sorriso migliore prima di scoccarle un bacio sui capelli spontaneamente, senza nemmeno pensarci. Non sapevo dire esattamente da dove fosse uscita quella libertà. Semplicemente avevo sentito la voglia di farlo e l'avevo fatto, punto. Ed ero sicurissimo a lei non sarebbe dispiaciuto.
    «Mademoiselle...» gli risposi, guardandola furbo, e fermando la frase apposta per mettere suspance. «Perchè correre e affaticarci a prendere i posti migliori quando si ha questa??» Estrassi la carta psichica e le feci un occhiolino. Poi, senza esitazione, mi diressi verso l'inizio della fila, mostrando a chiunque ci guardasse male la carta. Arrivati ai piedi della Torre, la mostrai alle guardie.
    «Monsieur John Smith e Mademoiselle Rose, prego»
    Ringraziai e rimisi in tasca la carta psichica, guardando Rose tutto felice.
    «Dopo di lei» le dissi con un mezzo inchino, lasciandole il braccio per prenderle in modo galante la mano e farmi di lato per permetterle di passare prima di me, trattandola come una vera dama.
     
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  3. Leah.
     
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    La folla era entusiasta di assistere all'inaugurazione, la gente spingeva e cercava di raggiungere gli acensori. Certo, chiamarli ascensori, non nego che ebbi quasi paura a salire su di essi, non ero abituata a quel tipo di strutture; così antiche e instabili, per me. Con il Dottore riuscimmo a passare la fila, non so cosa fosse apparso sulla carta psichica, ma vidi i volti delle persone davanti a noi mutare da un'espressione irritata a meravigliata. Guardai in alto, quell'enorme struttura di ferro si ergeva maestosa, quasi dava davvero l'impressione di toccare il cielo. Arrivammo finalmente, era il nostro turno di salire, ma quando le porte dell'ascensore si aprirono, la folla mi trascinò dentro e, nonostante mi dimenassi per raggiungere il Dottore, non riuscii ad avanzare di un millimetro. Improvvisamente mi sentii afferrare da qualcuno, avevo quasi dimenticato il motivo per cui ci fossimo trovati in quel luogo e tempo, solo in quel momento realizzai che stavamo cascando nella trappola. «Dottore!» gridai, prima che chiudessero le porte.
    Avevo le braccia immobilizzate, non riuscivo a vedere chi mi stava tenendo, ma sicuramente era molto più forte di me e, anche se avessi continuato a provarci, non avrei avuto speranze di liberarmi. Provai a fare delle domande, ma non ricevetti risposta, inoltre più tentavo di muovermi, più venivo compressa dalla folla. Diamine, c'eravamo cascati in pieno, non ero tanto preoccupata per me, sapevo che per il Dottore sarebbe stato mille volte peggio e quel pensiero mi uccideva. Il rumore metallico degli ingranaggi che giravano era come un ticchettio d'orologio e dentro di me sapevo che il peggio stava per arrivare.
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    Tutto stava procedendo secondo i piani, erano entrambi arrivati a Parigi, ora toccava a me. Rose, la mia Rose, aveva già cominciato a salire sulla torre e il tempo aveva già cominciato a scorrere. Tic toc, tic toc. Camminavo tra la folla, schivando le persone che intralciavano il cammino. Non mi serviva vederlo, lo percepivo: per quanto lo odiassi, eravamo carne della stessa carne. Lo vidi, ancora davanti all'ascensore che ormai aveva cominciato la sua lenta corsa. Rimasi a guardare la scena, con un ghigno sul volto. Patetico, diceva di amarla, ma cosa poteva offrirle? Una vita a metà, con il fantasma della vecchiaia ogni giorno sempre più vicino. Mi avvicinai lentamente, facendo in modo che lui mi vedesse, per poi attirarlo in un luogo più appartato. «Credo che noi due» dissi, indicandoci con una mano «Dovremmo finire una discussione molto importante» dissi, cominciando a girargli intorno. «Vedi.. Forse non ti è chiaro che mi hai sottratto qualcosa che non ti appartiene più» mi fermai davanti a lui, a pochi centimetri «Ed io la rivoglio» sorrisi e indietreggiai di qualche passo, con fare pensieroso. «Oh, forse dovrei lasciarti qualche secondo per metabolizzare la cosa.. Non te l'aspettavi vero?» risi «No, dalla tua faccia proprio non direi, ma temo che non ci sia il tempo necessario» indicai l'ascensore «Tic toc, Dottore, tic toc.. Il tempo scorre. Ora, vediamo come risolvere in fretta questa situazione, mmh? Quando quella piccola cabina raggiungerà la cima della torre, si innescherà un piccolo meccanismo che aprirà una fessura spazio-temporale..» cominciai a gesticolare, come se mimare la scena enfatizzasse l'effetto finale «E.. Voilà, diciamo che gran parte delle persone che sono qui si troverebbero.. Flambè». Misi le mani nelle tasche del completo, per poi avvicinarmi nuovamente. «Credo che il concetto sia chiaro: Rose torna con me, la gente vive, altrimenti..» Alzai le spalle «Non avrai sterminato solo la popolazione francese, ma anche la persona che dici di amare» lo guardai negli occhi, portando la testa leggermente all'indietro «Allora.. Cosa decidi di fare, Dottore?».
     
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  4. miry«
     
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    Eravamo finalmente ai piedi della Tour, e mi voltai verso Rose per sorriderle tutto felice. Dentro me, però, non potevo smettere di pensare al VERO motivo per cui eravamo lì. Mi destai dai miei pensieri solo quando il montacarichi - perché assomigliava più a questo che ad un ascensore - aprì le porte. In quel preciso momento, la folla ci travolse e io sentii la mia presa da Rose allentarsi fino a perdersi. Vidi una chioma bionda risucchiata dalla folla e non potei che impallidire. E tutto peggiorò quando la sentii urlare.
    «Rose!! ROSE!!» urlai di rimando, sperando riuscisse a sentirmi. «Tranquilla, prendo il prossimo! Aspettami sopra, ok?»
    E feci un passo indietro, in attesa ma impaziente, quando con la coda dell'occhio notai chiaramente qualcosa. Anzi, qualcuno. Qualcuno di così uguale a me eppure allo stesso tempo così diverso.
    *No... Non può essere...* Sentivo la gola secca, i brividi dietro alla nuca, i pensieri scombussolati. Mi voltai e lo misi a fuoco bene: completo blu, capelli castani spettinati, magro, alto, modestamente bello. John Smith.
    Misi le mani in tasca e, indossando la mia miglior maschera di freddezza, lo seguii.
    «E così il messaggio veniva da te. Semplicemente brillante, complimenti!» commentai, sinceramente ammirato.
    Restai immobile a qualsiasi sua parola o gesto, nonostante dentro fossi in pieno attacco di panico.
    "Mantenere il controllo" mi insegnavano sempre in Accademia "e mai mostrarsi spaventati o deboli davanti all'avversario".
    Ma la maschera si sgretolò in mille pezzi quando lui mi spiegò nei dettagli il suo piano: scegliere tra salvare migliaia di persone e non perdere colei che per me ne valeva miliardi. Mi passai una mano tra i capelli, fissando l'ascensore che saliva. E solo allora, solo alla domanda finale, parlai. Avrei voluto fare un sacco di discorsi filosofici, avrei voluto girare attorno al discorso come sempre per distrarlo mentre elaboravo un piano, ma tutto quello che uscì spontaneamente dalla mia bocca, fu:
    «Riportala subito giù.»
    Nemmemo il tono era dei migliori: avevo pronunciato la frase con rabbia e determinazione e mi ero pure avvicinato minacciosamente a lui.
    «Riporta giù Rose e tutte le persone presenti là sopra» - indicando l'ascensore che pian piano saliva - «e solo allora parleremo.»
    La mia calma? Scomparsa, come dissolta al sol pensiero di quello che sarebbe potuto accadere, ma soprattutto al sol pensiero di perdere Rose di nuovo.
     
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  5. Leah.
     
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    E fu così che in un attimo lo vidi cedere: sapevo benissimo cosa gli stesse passando per la testa, sapevo che ero vicino alla vittoria. Certo, ottenere Rose era solo una parte del mio piano, solo l'inizio. Le avrei dato la vita che aveva sempre desiderato sfidando l'impossibile, più di quello che avevo già fatto. Quando lui la portò via da me passai l'inferno: ricordavo ancora il sapore forte del whiskey che mi nfiammava la gola, il rumore dei mobili che si riducevano in mille pezzi. Era tutto così nitido, terribilmente nitido che neanche la soddisfazione nel vederlo a terra poteva distogliermi da quel pensiero. Quando sentii il suo patetico ordine scoppiai in una fragorosa risata. Sperava davvero che cedessi? Non si conosceva abbastanza. «Oh, ma ti prego» dissi, ricominciando a girargli intorno «E dove starebbe il divertimento se ti dessi ascolto?» alzai le mani all'altezza delle spalle, per poi scuotere la testa e proseguire. «Credo che non sia necessario ripetermi, sai benissimo cosa devi fare» mi fermai alle sue spalle, guardando l'ascensore «Non sei sicuramente pronto ad avere sulla coscienza tutte queste persone, ma senza di lei.. Sei andato avanti senza problemi» ghignai, per poi riprendere a passeggiare «Inoltre.. Cosa puoi offrirle? Sappiamo entrambi qual'è il meglio per lei.». Dentro di me sapevo che il suo posto era vicino a me, avremmo potuto viaggiare insieme e costruire una famiglia. Avrebbe avuto tutto ciò che più desiderava, avrei fatto in modo che l'avesse, a qualunque prezzo. Sarebbe stata la mia regina, potevamo avere l'universo ai nostri piedi, per sempre. Si, perchè una volta riavuta con me non avrei mai permesso che qualcuno potesse portarsela via, neanche la morte. Io e lei, i sovrani di tutti gli universi, mai avuto un piano migliore.
     
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  6. miry«
     
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    Ovviamente non aveva funzionato. Avrei dovuto prevederlo, poichè lui era determinato quanto me a restare con Rose. Eppure c'era qualcosa in lui, qualcosa di così malvagiamente diverso. Non ci misi molto ad inquadrarlo: era nato in battaglia, pieno d'odio, e Rose non aveva avuto il tempo di renderlo migliore. No, aveva preferito piangermi e far di tutto per ritrovarmi, per poi ritrovarmi casualmente. E dicerto non potevo accusarla di questo, assolutamente. Non era molto che l'avevo ritrovata e, nonostante ora non rimpiangessi parole non pronunciate o gesti non fatti, era comunque troppo poco tempo passato insieme. Sicuramente troppo poco rispetto a quello che volevo passare con lei: tutta la sua vita. Avrei potuto voler dire per sempre, ma il mio per sempre non coincideva col suo, e questo non avrei mai potuto negarlo. Su questo aveva ragione lui, ma su una cosa si sbagliava: io potevo darle tanto, tantissimo, e la sopravvivenza senza di lei era stata difficile.
    Anche questa situazione era difficile, e di certo io non la stavo affrontando nel migliore dei modi. Dovevo calmarmi, o avrei solo peggiorato la situazione. Se c'era una cosa che conoscevo di me stesso era che amavo gasarmi e parlare.
    «Cosa vuoi esattamente, John?» mi rifiutai di chiamarlo Dottore. Uno che metteva a repentaglio la vita di così tante persone per capriccio non poteva essere definito tale. «E non dirmi Rose, perchè dev'esserci dell'altro..»
    Inizia a ragionare, camminando appena avanti e indietro, cambiando radicalmente il mio atteggiamento nei suoi confronti. Continuai a camminare, controllando ovviamente l'ascensore e soprattutto tutta la struttura attorno. Sicuramente l'aveva modificata, hackerata ma di certo non sonicizzata...
    «Dev'essere qualcosa di veramente epico per portarmi fin qui, giusto?.Sei troppo intelligente per avere come unico scopo quello...» Chiesi ancora, senza lasciargli il tempo di rispondere alla mie domande precedenti. Stavo analizzando dove esattamente sarei potuto intervenire col cacciavite e bloccare il tutto, facendo credere a lui che io in realtà stessi solo prendendo tempo o ragionando. Ma soprattutto che la mia tattica non fosse quella che stavo mettendo in atto.Perciò conclusi il discorso così, gesticolando:
    «E proprio perchè sei intelligente ti pongo un quesito, John Smith: se io non cedessi, quella cabinetta arriverebbe alla fine della sua salita, la fessura si aprirebbe. Ora, eccoti la domanda finale..»
    Mi avvicinai a lui abbastanza da riconoscere sul suo viso quei piccoli, quasi invisibili lineamenti che ci distinguevano. Sapevo qual'era la domanda giusta da porgli, e lo feci con tono basso, quasi criptico, ma anche con una punta di vittoria.
    «Cosa ci guadagni tu se Rose muore?»
    ...
    In 900 anni di vite, non mi pentii mai come in quel momento di quella domanda.


    Edited by Tenny« - 7/11/2014, 15:38
     
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5 replies since 25/5/2014, 11:27   54 views
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